Il male della banalità

Appena finisco di scrivere un testo, una riflessione, una serie di pensieri penso subito a quale può essere l’argomento successivo. Penso a cosa trattare stavolta, di quali fatti di attualità posso parlare, quali sentimenti esprimere, quale fantasia sfogare. Nella mia mente faccio centinaia di collegamenti ipertestuali cercando parole chiave che possano essere di spunto per il prossimo scritto e per quello dopo ancora. Vorrei trattare di tutto, parlarvi delle mie figure di merda colossali, delle esperienze che mi hanno condizionato la vita, di storie che mi invento sul momento, di persone e aneddoti che mi hanno insegnato tanto. Vorrei riuscire a descrivervi tante vicende, tante emozioni, tanti pensieri.

Eppure lotto contro l’eterno nemico: la banalità.

La banalità è la cosa che più mi preoccupa. Ho paura nell’articolo precedente, nel testo appena battuto e ancora caldo, di aver detto qualcosa di sciocco, di elementare, di scontato. Vedete, voglio essere estremamente semplice, scrivere in modo che tutti possano capire, ma al tempo stesso vorrei parlare di concetti estremamente importanti come l’amore, l’amicizia, il dolore, la felicità. Ma su queste cose sono già state dette centinaia se non migliaia di cose, pubblicati centinaia di libri, infiniti scritti, milioni di aforismi. Come non cadere quindi nella banalità?

Eppure lei è lì, dietro l’angolo. Siamo capaci tutti di descrivere qualcosa, lo facciamo tutti i giorni, esprimiamo concetti, parole e idee, emozioni. “Questo l’ho già sentito, questo è troppo dibattuto, questo è troppo scontato”. Sono questi le frasi di cui ho più paura. E poi siamo tutti pacifisti dopo un attentato, tutti sindacalisti il primo maggio, tutti economisti dopo una riforma. Ecco vedete è lì che non voglio cadere.

Voglio la novità, la freschezza, l’inesplorato.

Vorrei parlarvi dei miei pensieri come se stessi proiettando un film, vorrei che le mie emozioni le viveste anche voi, vorrei portarvi in giro per il mondo lasciandovi seduti dove siete. Vorrei stupirvi, farvi riflettere, lasciarvi senza parole. E come farlo? E come non essere banale?

Ma che cosa è la banalità?

È dire “ti amo” con una rosa in mano o attraverso un messaggino, è ubriacarsi ad una festa in campagna perché si è lontano dai genitori, è accelerare quando il semaforo diventa giallo. È andare al mare d’estate e in montagna di inverno, è andare in chiesa la domenica, a Pasqua e a Natale. La banalità è fare i fuochi d’artificio la notte di capodanno, cantare sotto la doccia, scrivere “auguri” su Facebook ad un amico anche se non lo vedi da anni. La banalità la troviamo nel frigorifero di casa nostra, nell’armadio della nostra stanza, nella playlist dell’Iphone (che già avere un Iphone è banale di suo). La banalità è ovunque. Nelle frasi di rito che pronunciamo, nel “condoglianze” in un lutto, nel saluto al vicino di casa, nel caffè la mattina. La banalità è la routine delle nostre azioni, è fare tutti i giorni la stessa strada, è fare tutte le notti la stessa posizione. La banalità è guardare il cielo la notte di San Lorenzo ed è ancora più banale esprimere un desiderio fissando una stella cadere. La banalità è essere scontati dire sempre le stesse cose e ridirle ancora e dirle un’altra volta nel caso non si fossero ben capite. La banalità è fare un esempio sulla banalità dicendo “2+2=4”. La banalità è scrivere a computer un articolo su un blog, dicendo cose banali. E avendo paura di esserlo per davvero.

La banalità sono i protocolli, le righe dritte, le convenzioni, le abitudini.

Allora perché non dire “ti amo”  scrivendo una poesia? Perché non rimanere sobri nella più bella festa della propria vita solo per sentire i grilli cantare nei campi? Perché non prendere il semaforo rosso solamente per ascoltare la canzone che stanno passando per radio con calma senza fretta? Perché non ammirare la bellezza del mare d’inverno e la delicatezza della montagna d’estate? Perché non andare in chiesa tutti i giorni evitando proprio le feste perché c’è più casino?  Perché anziché scrivere ad un amico un banalissimo “auguri” in bacheca non chiamarlo e sentire la sua voce attraverso una cornetta? Perché non cercare di distinguersi dalle mode, dalle diete, dagli stereotipi?  Perché ignorare il cielo tutte le altre notti? Perché adottare stili, pensieri, idee comuni solo per non essere additati come diversi?

Perché essere così banali?

Penso che senza la banalità si viva meglio. Sia tutto più poetico. Sia tutto più “improvvisato”. Tutto più reale.

Ecco io vorrei essere questo. Vorrei essere diverso. Nei miei testi, nei miei pensieri, nelle mie azioni. Strano, magari pazzo, magari disordinato e caotico. Ma mai banale.

Anche solo scrivendo un articolo sulla banalità.

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