Improvvisamente giacqui a terra. Immobile. Il mio corpo inerme toccò il terreno. La mia schiena percepì il suolo duro, la mia pelle sentì il freddo della terra attraversare i vestiti leggeri. Non ricordo come mai finì lì. Ma i miei occhi sentivano le palpebre pesanti, in procinto di chiudersi, mentre fissavano la cupola del firmamento, in un cielo limpido le cui stelle e la luna erano così luminose da fare ombra. Nella testa un ronzio sempre più forte si faceva strada sovrastando una musica in lontananza.
Non avevo capito cosa stava accadendo.
Ma provai un’emozione unica, un’emozione mai provata prima. Un’emozione purissima. Un’emozione paradossale. Un’emozione indescrivibile.
Ero al cospetto di Dio. Sopra di me la grandezza dell’infinito mi faceva sentire piccolo, inutile, sovrastato dalla potenza del creato, dalla magnificenza della natura.
Eppure lei era lì con me.
E con lei sarei andato ovunque. Con lei mi sentivo l’opposto. Mi sentivo grandissimo, dotato di una forza immensa. Mi sentivo immortale, pronto a tutto.
Come era possibile ciò? Sentirsi microscopico e insignificante ma al tempo stesso sentirsi enorme, maestoso, fiero, invincibile. Mi sentivo davanti a Dio ma al contempo mi sentivo una divinità io stesso. Da una parte la solitudine davanti all’inconcepibile infinito dall’altra la tempesta che mi faceva sentire il ragazzo più forte del mondo. Mi sentivo un atomo. Minuscolo. Infinitesimale. Ma quando il suo equilibrio viene rotto dà origine ad un’esplosione atomica. Ecco io mi sentivo così. Dotato di un’energia potenziale immensa nella piccolezza della mia posizione.
Presi fiato. Non voltai lo sguardo. Ma sentii il suo respiro, il suo cuore, la sua presenza.
Sentivo il mio cuore battermi nel petto sempre più forte, sempre più martellante, sempre più tempestoso. I battiti acceleravano e con loro il ritmo del mio respiro.
Ma che cosa era questa emozione? Che cosa era questo stato d’animo? Che cosa stava accadendo tra cervello e cuore?
Non so cosa fosse. L’idea che da lì a poco sarebbe accaduto qualcosa. Ma cosa sarebbe accaduto? Cosa stavo aspettando? Forse qualcosa che avrebbe dato senso a tutto.
In quel momento avrei voluto combattere, correre, lottare, dimostrare a Dio che non ero così piccolo davanti a lui. Ma al tempo stesso ero in pace con tutti. Con me stesso, con la vita, con il mondo intero. Lei era vicino a me. E questo mi dava sicurezza. Sicurezza di non essere poi così piccolo in fondo.
E i battiti del mio cuore continuavano ad accelerare.
Perché? Perché ero con lei. Per questo il mio cuore stava esplodendo, per questo il mio animo era in fiamme. Lei, la persona tanto desiderata, amata, era a pochi centimetri da me. Anche lei con la schiena a terra e lo sguardo rivolto verso il cielo. Chissà lei cosa stava pensando. Chissà se anche lei temeva la grandezza dell’infinito o era pronta ad affrontarla. Chissà se anche lei aveva provato anche solo per un istante ciò che provavo io. La musica si affievoliva lasciando spazio ad un magnifico e purissimo silenzio. Strinsi la mano nell’erba, sentii i suoi tanti ciuffi in mezzo alle dita. Avrei voluto che fossero i suoi capelli. Avrei voluto farle una carezza, baciarla sul collo, abbracciarla.
No, non pensate male. Non avevo voglia di toccarla, ma di sfiorarla, di solleticarle l’anima, di afferrarla tra le mie mani con delicatezza, come si afferra una rondine ferita, e proteggerla tra le mie braccia. Avrei voluto giacere con lei, anche se effettivamente stavamo coricati vicini a nemmeno mezzo metro. Avrei voluto muovermi. Ma non riuscivo ad alzare nemmeno un muscolo e le palpebre si facevano sempre più pesanti. Ero paralizzato. Sapevo che qualcosa stava per accadere. Mi sentivo come un paracadutista in caduta libera, con il dubbio che il paracadute non si apra e con ancora pochi metri per evitare l’impatto. Sentivo il desiderio di fare qualcosa. Qualunque cosa. Avrei voluto parlarle a quella ragazza. Avrei voluto esplodere come quell’atomo. In quel momento avrei voluto scrivere, dipingere, danzare, scolpire, cantare. In tutti i modi non sarei riuscito comunque a rappresentare quello che stavo provando. La desideravo. Ma non come si desidera un corpo, bensì come si desidera un’anima, come si desidera il bene per una persona, semplicemente volendola accanto a noi. E lei era accanto a me.
Avrei dato la mia di anima per avere la sua. E la darei tutt’ora.
Come descrivere quindi questa emozione? In astronomia c’è un concetto che mi ha particolarmente colpito. Rumore cosmico di fondo. Queste parole indicano una radiazione che permane nell’universo sin dalla sua origine. C’è sempre e sempre ci sarà, come prova dell’esplosione che tutto ha creato. E io fin dalla mia origine provavo emozioni, sentimenti, angosce e tormenti. Fin dall’inizio della mia esistenza avevo già tutto nel cuore. Un rumore cosmico di fondo della mia anima. Una serie di sentimenti che ci sono sempre stati e che sempre ci saranno. Ma fin che non li cerchi non sai che esistono. Provi tante sensazioni, tante idee ti passano per la testa, tante sensazioni ti invadono il corpo. Ecco io in quel momento cominciavo a percepire tutto. La gioia, il dolore, l’odio e l’amore. E lei, la sua presenza spiegava tutto. Lei me li aveva fatti trovare. Quella radiazione di emozioni era finalmente percettibile. Lei dava un senso alla mia esistenza. Mi dava la prova di esistere. Mi faceva sentire vivo. Un universo intero spiegato in pochi secondi.
Questa era l’emozione che provavo. Un’emozione che dava senso a tutte le altre.
Fissai un ultimo secondo il cielo.
Voltai la testa e allungai la mano toccando la punta delle sue dita.
E fu come toccare le stelle.
Assaporai l’ultimo respiro.
E chiusi gli occhi.
Ciao Nicolò,
Non so se scrivi di una cosa che ti è davvero successa p se si tratta di una fantasia, ma io una sensazione all’incirca così l’ho provata per un certo periodo della mia vita… Sentivo di essere parte del Tutto, e il Tutto era in me: una cosa sola… in pace con il mondo e con me stessa e quando respiravo, mi sembrava di respirare altro, che non la solita aria. Un respiro pieno come se respirassi l’Universo. E ho amato un’Anima, solo ed esclusivamente la sua anima.
Quando hai provato delle emozioni così potenti e dopo non succede più, ti sento come orfano. Come un Ulisse che non riesce a tornare a Itaca…
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Esatto. Io con questo testo ho provato a descrivere un’emozione che ho provato veramente. Il mio articolo voleva essere una meticolosa cronaca di quello che è successo nel mio cuore. Qualcosa che è difficile provare, ma ancora più difficile è descriverlo….
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So che la netiquette me lo impedirebbe, ma vorrei farti una domanda… Come hai trovato il mio blog? A caso nei meandri dell’Internet o mi conosci nella vita reale e hai visto il link che ho postato su Facebook? La curiosità è troppa…
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Internet é un grande mare
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…adesso però é mia la curiosità… Che differenza farebbe ?
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In realtà mi fa più piacere. Ho molti amici che sanno che scrivo, che mi seguono e mi commentano, consigliano, rispondono. Ma un lettore esterno vero e proprio sarebbe la prima volta. E sapere di essere letto, commentato, consigliato da qualcuno “sconosciuto” mi fa molto piacere. È questo lo scopo del blog.
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